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L'amore che trascende i bisogni. La storia di K e B





“Buonasera, signor K. Nella sua email richiedeva una consulenza di coppia, come mai è venuto da solo?” domando al signor K.

Lui allarga le braccia sconsolato e in cerca di conforto risponde sospirando:
“Eh… che vuole che le dica, B è fatta così. Arriva sempre tardi agli appuntamenti e non si può fare affidamento su di lei”

“Non siete partiti da casa insieme?”

Condannata per sempre. Il caso di M.





M. è una ragazza di 18 anni. Mi contatta perché ogni sera si ritrova seduta sul letto a piangere, con la sensazione di non riuscire a respirare e con fitte intercostali, accompagnate da un forte vissuto di inadeguatezza, veicolato da pensieri intrusivi del tipo: “Sono malata mentalmente”; “Non sarò mai normale”; “Non avrò mai una vita felice”; “Sono condannata per sempre ad avere una testa che non funziona”.
Inoltre sostiene di avere dei gravi problemi di coppia

Mi richiamerà?





“Dottore, ora che le ho raccontato la storia di questa mia relazione travagliata, mi dica, lui tornerà? Mi richiamerà?”

E' troppo giovane!




“Dottore, se avessi saputo che era così giovane, non sarei nemmeno venuta!” esordisce la signora all’ingresso del mio studio.

Eppure mi aveva contattato tramite il mio sito web, dove ci sono tutte le informazioni sulla mia persona con tanto di foto e curriculum vitae. Per non parlare del fatto che, per fissare l’appuntamento, ci eravamo sentiti per telefono.

Rispondo con una battuta e la faccio accomodare. Ma la musica non cambia: continua la sua campagna denigratoria nei miei confronti facendomi domande sulla mia preparazione e il mio lavoro e ridendo in faccia ad ogni mio tentativo di risposta.
Le faccio notare che non ci troviamo in un contesto giudicante e che lo scopo dell’incontro è quello di esplorare i motivi che l’hanno spinta a venire da me.
“Io non ho nessun problema, non sono mica matta, che crede! Sono venuta solo per curiosità, anche se dubito che lei possa aiutarmi… Quanto può saperne un ragazzo come lei dei veri problemi della vita?”
“Allora potrebbe provare a parlarmene per vedere insieme cosa riusciamo a fare” le propongo.
Ma lei continua a dire di non avere problemi , aggiungendo che forse non era stata una buona idea quella di venire da me.

Non voglio confermare questa sua rappresentazione, ma non intendo nemmeno continuare un braccio di ferro per un’ora; tanto più ho la sensazione che si possa alzare dalla sedia da un momento all’altro per raggiungere l’uscita.

Così decido di sfruttare l’unico spiraglio di confronto concessomi e, seppur consapevole degli scarsi elementi a supporto della mia ipotesi, le porgo una domanda diretta:
“Ha mai subito violenza da parte di qualcuno?”
La signora cambia di colpo espressione. Resta in silenzio fissandomi con lo sguardo incredulo. Poi inizia a piangere e non si ferma più.

La sua storia era caratterizzata da episodi violenti familiari agiti da figure maschili e da un matrimonio, ancora in corso, connotato da costanti umiliazioni subite da parte del marito, anche in presenza di figli, parenti e amici.
Nell’attaccare costantemente la mia figura, giudicandola “troppo giovane” e “non adatta”, la donna non faceva altro che comunicarmi indirettamente il suo disagio. Attraverso tale modalità relazionale veniva messo in atto il tentativo di svincolarsi dal ruolo di “incapace”, a cui era stata relegata con forza negli anni, proiettandolo su di me.

La non collusione con questa fantasia relazionale prevalente e l’offerta di uno spazio di ascolto e di confronto non giudicante, hanno permesso l’avvio di un processo condiviso di riconoscimento e superamento della dinamica di potere, che investiva le relazioni con le persone più significative del passato e del presente.

Il conseguente e crescente ampliamento di orizzonti, ha permesso l’individuazione e la sperimentazione di nuovi schemi relazionali a partire dalla riformulazione dei copioni familiari.

Col passare del tempo la donna ha scoperto risorse che non credeva nemmeno di avere, perché troppo a lungo inibite e atrofizzate entro schemi rigidi e giudicanti, che stroncavano sul nascere ogni tentativo di espressione di sé.

Non è importante in questa sede elencare le ricadute operative che i progressi ottenuti hanno avuto sulla qualità della sua vita. Basterà sottolineare l’importanza del recupero di una delle funzioni più importanti per l’essere umano: la possibilità di scegliere.

Così come è opportuno considerare che anche la più provocatoria delle richieste può veicolare una domanda di aiuto, che tuttavia non è sempre facile riconoscere ed accettare consapevolmente.

Dottor Riccardo Cicchetti

     

Uomini che non vogliono una "storia seria"



Esco da una storia travagliata e in questo momento non voglio una relazione impegnativa

Quante donne hanno sentito pronunciare questa frase dall’uomo che stavano frequentando?

Magari hanno anche apprezzato la sincerità del discorso mentre si godevano una bella serata.



Ben presto lui sparisce per giorni o settimane: non si fa sentire, non risponde ai messaggi e, in quelle rare occasioni in cui si riesce a parlare, è molto freddo e resta sul vago circa la data di un prossimo incontro.
Tra una fuga e l’altra ricompare all’improvviso, come se niente fosse, con un bel regalo o una cenetta romantica.
E’ a questo punto che lei dimentica di colpo tutta la frustrazione e l’insoddisfazione di un rapporto che, fino al giorno prima, l’aveva vista attendere una chiamata che non arrivava.

Eppure attendeva con ansia il momento di parlargli di persona, per esporre il suo punto di vista.
Ma quando arriva l’occasione per il chiarimento, ecco che l’atmosfera è talmente magica che qualunque parola diventa superflua:
Non mi andava di rovinare la serata. Non c’era bisogno di parlare, ci siamo capiti guardandoci.
Dal giorno successivo, lui sparisce di nuovo. E il ciclo si ripete.

Per quanto possa sembrare paradossale, si tratta di una dinamica diffusa.
Molte donne rimangono intrappolate in rapporti ambivalenti che oscillano tra momenti di felicità e momenti di chiusura, freddezza, distacco e fuga.

In questa altalena di emozioni, il pensiero tende ad essere riparatore, nel tentativo di difendere l’investimento emotivo e allontanare lo spettro della possibilità di aver commesso un errore di valutazione affidandosi all’uomo sbagliato o, peggio ancora, la paura di rimanere single.
Si impiegano enormi quantità di tempo ed energie a domandarsi il perché di un tale comportamento e ad individuare delle risposte accomodanti, volte a normalizzare e giustificare la situazione:
Deve avere avuto un difficile rapporto con i genitori
La sua ex deve averlo ferito molto!
Come conseguenza implicita, si tenderà a dimostrare di essere migliori di chi lo ha fatto soffrire:
Non devo fargli pressioni. Devo mostrarmi più tranquilla e meno esigente.
Fino a sconfinare nei casi in cui lui non è più considerato responsabile delle sue azioni:
So che in fondo mi ama e vorrebbe stare con me, ma è spaventato. Devo aiutarlo a superare le sue difficoltà.

E’ bene sapere che non tutte le persone hanno la capacità di stabilire delle relazioni profonde e soddisfacenti con un altro essere umano: purtroppo, esistono individui che non hanno sviluppato una sana affettività o che semplicemente non riescono a gestirla.
Possono essere brillanti, affascinanti, intelligenti, professionalmente affermati e abili nel corteggiamento, ma la loro capacità di amare e di costruire una relazione risulta gravemente compromessa.
Questi uomini hanno gravi difficoltà con l’intimità e non si legano mai in modo totale e definitivo ad una persona.

Va chiarito inoltre che non si tratta di una caratteristica unicamente maschile, ma le dinamiche in questione sono molto più diffuse quando è la donna ad essere sedotta.


ALCUNI TRATTI CARATTERISTICI

Corteggiamento “ad impatto”
Nei primi incontri lui si mostra un perfetto principe azzurro: è pieno di slanci e di attenzioni, e sembra molto preso dalla sua donna.
La relazione appare da subito travolgente e passionale ma l’innamoramento non si trasforma mai in amore.
L’amore richiede infatti la capacità di vedere l’altro per quello che è e di accettarlo con i suoi pregi e i suoi difetti ed è una capacità che purtroppo in questi casi non è sviluppata.

Assenza di progettualità
La caratteristica distintiva di questi rapporti è la mancanza di una progettualità condivisa e di una crescita comune: anche se ci si frequenta da anni, il rapporto non evolve ma rimane a livello di una frequentazione casuale in cui è sempre lui a decidere i tempi e i modi dell’incontro.

Alla costante ricerca del “meglio”
Considerarsi i numeri uno, implica il circondarsi di persone “di un certo livello”.
In un rapporto di coppia questo si traduce nell’incapacità di accettare le piccole debolezze e i difetti della partner, che, per essere amata, deve adeguarsi a degli ideali di perfezione che non hanno riscontro nella realtà.
La continua ricerca del meglio conduce ad uno stato di insoddisfazione cronica.

Il fascino della conquista
Anche se possono essere convinti di cercare un rapporto duraturo e dichiarare di volere qualcosa di più del semplice sesso, quello che li motiva veramente è l’eccitazione e l’adrenalina della conquista.
Qualunque rapporto di coppia verrà giudicato deludente perché non può reggere il confronto con la relazione fatta di complicità assoluta, di passione folle, di emozione travolgente che si sperimenta nella fase dell’innamoramento e che sarà sempre ricercata nella donna che deve ancora arrivare.

Pretendono molto e danno poco
Non mi stancherò mai di ripeterlo: una relazione sana è quella che tende a soddisfare i bisogni di entrambi.
In questo caso invece, si assiste ad una relazione a senso unico e senza compromessi, modellata sulle esigenze di lui.
Incapace di empatia, non riconoscerà i bisogni della partner e vivrà ogni piccola richiesta come una coercizione, un tentativo di controllo e manipolazione.

Non si concedono mai fino in fondo
Deve ancora nascere la donna  che mi fa perdere la testa!
Se da un lato si desidera la vicinanza e l’intimità di una relazione amorosa, dall’altro c’è l’incapacità di tollerarla: l’intimità suscita un sentimento di oppressione, di ansia , di perdita della propria libertà che scatena un potente desiderio di fuga.
Incapaci di fidarsi dell’altro, non si concedono mai fino in fondo, preferendo mantenere un’immagine vincente e superficiale.


COME COMPORTARSI IN QUESTI CASI?

Per quanto si tratti di un profilo ben noto agli psicologi, va chiarito che non si può aiutare chi non vuole essere aiutato.
Personalmente ho lavorato con diversi uomini che credevano di non riuscire ad amare, ma il motivo per cui si erano rivolti a me è che vivevano con disagio la propria condizione.

Molte donne mi contattano facendomi sempre le stesse domande:
Perché lui si comporta così?
Come posso aiutarlo a cambiare?
A loro restituisco le stesse domande, invitandole ad assumere un’altra prospettiva:
Lei come ha reagito a tutto questo? Come spiega il proprio comportamento?
Chi tra i due vive con disagio questo rapporto? Chi sta rivolgendo domande ad uno psicologo? Chi sente bisogno d’aiuto? Chi vorrebbe un cambiamento?

Qualsiasi rapporto di coppia per poter funzionare dev’essere paritario nella distribuzione del potere decisionale:
Chi decide cosa fare e quando farlo?
Se la risposta a questa domanda è sempre “lui”, allora bisogna trovare il coraggio di essere oneste con sé stesse ed impegnarsi a realizzare l’unica soluzione possibile: uscire da questa situazione.


ERRORI DA EVITARE

Mancanza di visone globale nella valutazione del rapporto
Se lui fosse sempre freddo, scostante e insensibile, sarebbe facile chiudere la porta.
Ma poi arrivano quei momenti magici, dove lui diventa l’uomo da sempre desiderato e tutto sembra perfetto: tenerezza, coinvolgimento e passionalità portano ad un intesa quasi magica che diventa difficile da dimenticare.
L’errore che molte donne fanno è quella di legarsi ai momenti belli, sperando che con il tempo diventino sempre più frequenti e duraturi.

Eccesso di giustificazioni e falsi rimedi
Di fronte al comportamento ambiguo del partner, la donna commette l’errore di giustificarlo, di pensare che le sue fughe siano dovute soltanto alla paura di innamorarsi e che basterà essere paziente, comprensiva, non chiedergli niente e dargli tutto perché lui superi le sue paure e si leghi.
“Se faccio la brava, otterrò ciò che voglio”
“Non devo avere fretta”.

L’illusione di cambiare l’altro
Il primo passo per uscire da una relazione malata è riconoscerla e accettarla per quella che è realmente. Molte donne non sono innamorate dell’uomo che hanno accanto ma sono innamorate dell’idea dell’uomo che potrebbe diventare. Si tratta di un’illusione destinata a fallire.

Negare sé stesse e la propria sofferenza
Un errore che le donne fanno comunemente è quello di negare con sé stesse la sofferenza che provano nella relazione, cercando di convincersi che in fondo va bene così.
Ho sentito anche troppe volte il famoso discorso: “Nemmeno io voglio una storia seria. Mi godo i momenti belli e vivo il rapporto giorno per giorno”.
Raramente questo discorso è sincero: in una relazione non è possibile prendersi solo il bello, si prende tutto della persona con cui si sta, compresi gli aspetti problematici.
Allo stesso modo, non si può vivere un rapporto di coppia giorno per giorno se non c’è un progetto di vita ad orientarlo e sostenerlo.


RIPARTIRE DA SE’

Soltanto riconoscendo gli errori commessi ed imparando da essi si può fare un onesto bilancio della relazione per quella che è realmente nel presente e capire se valga la pena restare o cercare una relazione meno problematica e più appagante.

C’è un’enorme differenza tra conoscersi e frequentarsi: ci si può frequentare anche da anni ma sono le esperienze condivise che determinano una vera conoscenza.

Stare bene in un rapporto non significa dimostrare di essere sulla stessa lunghezza d’onda, capirsi al volo, avere feeling, se poi si vive con la costante paura di essere abbandonati.
La conquista della perfezione non ha mai reso felice nessuno e conduce al vuoto e alla solitudine.

La donna che si lascia catturare da tali fantasie, avrà l’illusione di essere vincente sul piano sociale e amoroso, mentre in realtà brillerà solo di luce riflessa. Anzi, sarà proprio lei a conferire ulteriore prestigio a colui che di questo si nutre.

Rinunciare ad esprimere sé stessi non è mai la cosa giusta da fare.
Uscite dall’angolo e non vergognatevi di dare voce ai vostri bisogni: non sono un segno di debolezza, ma le risorse da cui partire.
Non abbiate paura di rovinare la magia di un rapporto proponendo di fare qualcosa insieme.
La felicità è reale solo se condivisa!


Dottor Riccardo Cicchetti

Articolo pubblicato su L'AquilaOggi 

 
     

Quando rivolgersi allo psicologo



Capita a tutti nel corso della vita di attraversare periodi di particolare sofferenza legati ad uno specifico momento di crisi o al peso di vecchi problemi che non riusciamo più a sostenere da soli.
Tali situazioni possono divenire fonte di notevole stress e preoccupazione, e possono assumere, nella nostra percezione, dimensioni ancora più grandi di quelle reali, facendoci sentire impotenti, inadeguati, disorientati o spaventati, di fronte ad ostacoli apparentemente insormontabili.
Un primo valido supporto può venire senza dubbio da amici, familiari o colleghi di lavoro, a cui ci rivolgiamo per ricevere un sostegno o per chiedere un consiglio. Tuttavia i nostri cari possono aiutarci fino ad un certo punto: non possiedono una adeguata formazione clinica e la conoscenza tecnica di un professionista abilitato per un intervento specialistico, basato sulla formazione scientifica e sulla competenza.
 
Decidere di rivolgersi allo psicologo può essere allora una possibilità per comprendere in che modo i nostri stati d'animo, i pensieri e le emozioni siano collegati a situazioni reali che si stanno vivendo e sulle quali è possibile intervenire attivamente per migliorare significativamente la qualità della nostra vita.
 
Ci si rivolge allo psicologo nei casi in cui vi sia una difficoltà ad instaurare relazioni affettive significative, nei problemi relazionali al lavoro, nei problemi di coppia, nel disagio esistenziale, nei casi di ansia diffusa e problemi d'umore, nelle fobie, in periodi critici della vita, come un divorzio, una malattia, un incidente o la perdita di una persona cara. In generale consultare uno psicologo può essere importante in ogni situazione in cui c'è una sofferenza che ostacola la realizzazione dei nostri progetti e ci impedisce di guardare al futuro con serenità e consapevolezza dei nostri mezzi.
 
Tuttavia chiedere aiuto ad un professionista qualificato è talvolta una delle circostanze più difficili da realizzare. L'insensata paura di essere giudicati e il nostro istinto a sbrigarcela da soli ci portano a non chiedere aiuto nemmeno quando ne sentiamo l'esigenza.
Inoltre, nel pensiero comune, la figura dello psicologo è spesso associata ad una erronea concezione di "malattia mentale" e allo stigma sociale che da essa deriva.
Esistono infatti delle false credenze che a volte ostacolano la scelta di rivolgersi ad uno psicologo, che arrivano a sfociare in forti pregiudizi, quali ad esempio:


"La gente penserà che sono pazzo se vado da uno psicologo"


"Lo psicologo costa troppo, non me lo posso permettere"


"Gli incontri con lo psicologo andranno avanti per anni"
 
In realtà avvalersi della consulenza di uno psicologo non è un gesto folle o un lusso da non potersi permettere ma la soluzione più ragionevole di fronte a questo tipo di situazioni.
 
Riguardo ai costi, è opportuno considerare che disturbi quali stress o ansia hanno un effetto negativo immediato sulla salute fisica, sulla produttività lavorativa e sulla qualità delle relazioni affettive.
La spesa affrontata per la consulenza di uno psicologo è da considerarsi come un investimento su sé stessi che ha delle ricadute operative concretamente fruibili nel miglioramento della propria vita emotiva, di coppia, familiare, sociale e lavorativa.
 
Per quanto concerne la durata degli incontri, va sottolineato che la relazione psicologo-cliente è un processo che si basa sulla collaborazione e sullo scambio reciproco. Lo psicologo è un professionista orientato ai bisogni del cliente, con cui collabora nel raggiungimento di obiettivi concordati, quali la risoluzione di specifici problemi e il miglioramento globale dello stato di salute. Quindi gran parte del lavoro dello psicologo sta proprio nel "potenziare" la dimensione di autonomia e autorealizzazione del cliente, fornendo caso per caso gli strumenti più appropriati.
 
Rivolgersi ad uno psicologo può aiutare ad attribuire senso a vissuti, pensieri ed emozioni che spesso sembrano non averne, può farci scoprire potenzialità che non credevamo di avere, può darci nuove chiavi di lettura della nostra storia personale e del nostro eventuale disagio, può permetterci di aumentare le nostre competenze relazionali e comunicative.
Tramite la consulenza di uno psicologo si può avere accesso alle proprie risorse e imparare ad utilizzarle in modo appropriato per gestire autonomamente le situazioni di crisi e formulare nuovi obiettivi di vita verso una completa realizzazione di sé.
 
E' importante porre l'accento sul diritto alla salute e al benessere psicologico, personale, sociale, affettivo e lavorativo, di cui tutti avremmo bisogno ma che molti, purtroppo, non hanno ancora il coraggio di concedersi.


     

Lo Psicologo e la cura dell' Ansia


L'obiettivo di un intervento psicologico non può essere quello di eliminare l'ansia: oltre ad essere impossibile da realizzare, sarebbe altamente disfunzionale al nostro benessere psicofisico e sociale.
Per quanto dolorosi e invalidanti possano essere i sintomi dell'ansia, lo psicologo ha il compito di aiutare la persona ad accogliere, ascoltare, leggere e interpretare tali segnali.
Ogni sintomo ha un suo significato ancorato al contesto in cui il soggetto è inserito. E’ importante recuperare l’oggetto reale delle nostre paure e ricollegarlo a situazioni, esperienze, ricordi e persone che fanno parte della nostra vita.
 
Nel caso dell’ansia è opportuno lavorare su sé stessi nella direzione di imparare a non essere pretenziosi e intransigenti. Ognuno dovrebbe vivere il proprio presente in relazione alle risorse e ai limiti personali e ambientali, che in altri termini significa fare le cose per come si è in grado di farle non per come dovrebbero essere fatte. In questo senso la sospensione dell’azione ci può regalare uno stato di pace.
La soluzione non sta nel soddisfare le proprie (e degli altri) aspettative a tutti i costi, ma nell’essere presenti e consapevoli nelle azioni che intraprendiamo.
 
Soddisfare le aspettative significa sforzarsi di voler essere un modello di “bravura” agli occhi degli altri, un punto di riferimento, una persona sulla quale poter contare, che sa sempre cosa fare. La preoccupazione dominante diventa essere in grado di accontentare tutte le richieste da parte delle persone che si amano. Assolvere a questa missione può farci perdere il contatto con i nostri veri desideri, che tendiamo a trascurare fino a non riconoscerli più, fino a considerarli come un elemento di disturbo, una minaccia per la nostra stabilità sociale e affettiva.
In realtà è proprio quando ci imponiamo di andare avanti nella stessa direzione a tutti i costi che la nostra psiche si ribella  e richiama tutta la nostra attenzione attraverso l’esplosione dei sintomi.
Dobbiamo accogliere l’ansia come un consiglio che ci viene dato dal nostro corpo che in qualche modo non vuole più sottostare a quel modello di perfezione che ogni giorno ci sforziamo di essere.
 
Recuperare un contatto con noi stessi, con i nostri limiti e le nostre imperfezioni, equivale a recuperare un rinnovato senso di realtà, di pace interiore, di autoefficacia. Significa tornare ad essere protagonisti consapevoli della nostra esistenza.
 
Non si tratta di un processo semplice da realizzare. Le maggiori difficoltà si riscontrano maggiormente nel fatto che, per quanto dolorosi e faticosi da mantenere, gli equilibri consolidati nel tempo, compresi i sintomi e i meccanismi di difesa, presentano un vantaggio secondario: ci proteggono dall’angoscia che scaturirebbe dall’idea di cambiare, di mettere in discussione l’immagine che si ha di sé stessi e degli altri. Si ha paura di restare soli, di non essere più amati e apprezzati da nessuno.
In tal modo si continuano a impiegare notevoli energie nel mantenere la propria esistenza il più possibile conforme ai valori collettivi che finiscono col diventare rappresentativi ed esaustivi della nostra intera persona, spesso in modo del tutto inconsapevole.
 
L'impressione che gli altri hanno di noi è sicuramente un elemento molto importante nella società umana, ma non dobbiamo permetterci di vivere solo per poter dimostrare di essere come gli altri si aspettano. Dobbiamo dare il giusto peso soprattutto ai nostri bisogni interiori, arricchirci di quelle soddisfazioni che magari per altri contano poco ma che per noi sono linfa vitale. Abbandoniamo l’idea di dover apparire per poter essere, svestiamoci da quella maschera sociale che giorno dopo giorno diventa sempre più pesante da indossare, diamo più spazio ai nostri desideri, prestiamo un ascolto costante ai nostri bisogni, non temiamo di metterci in gioco e poniamoci nel mondo con una nuova consapevolezza di noi stessi, pronti a nutrirla e a sostenerla entro un processo di continua riscoperta.