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Mi richiamerà?





“Dottore, ora che le ho raccontato la storia di questa mia relazione travagliata, mi dica, lui tornerà? Mi richiamerà?”

Il più delle volte a pormi queste domande sono donne e ragazze che sono state sedotte e abbandonate dal partner o dal proprio corteggiatore.

E il più delle volte la mia risposta provocatoria è: “Beh, questo dovrebbe chiederlo ad un cartomante!”.

A tutti piace essere corteggiati. A tutti piace avere qualcuno di speciale nella propria vita e sentirsi speciali a loro volta per qualcuno. A tutti piace essere protagonisti di una storia d’amore.
E’ la ricerca stessa di questo piacere, però, che spesso ci impedisce di restare in contatto con gli elementi di realtà del
contesto.

Anche quando ci troviamo di fronte a delle situazioni palesemente asimmetriche e sbilanciate sul piano del potere e della comunicazione, dove è evidente che uno dei due all’interno della coppia ha sempre dettato i tempi e le regole, calpestando o semplicemente ignorando i bisogni e le richieste dell’altro, si assiste a delle vere e proprie distorsioni percettive e cognitive (“lui ha detto che a me ci tiene davvero, che non ha mai incontrato una speciale come me nella sua vita”) e alla messa in atto di meccanismi di difesa quali:
negazione (
si è fidanzato con un’altra ma non la ama);
razionalizzazione (“ieri l’ho visto passare e quando si è accorto che lo stavo guardando ha abbassato la testa. Secondo me perché si è vergognato e si è reso conto di aver fatto un errore a lasciarmi, altrimenti perché avrebbe abbassato la testa? Avrebbe dovuto restare a testa alta, no?”)
e proiezione (“Di lui non mi importa niente, ho deciso di guardare avanti, è lui che mi segue e mi controlla, anche perché le mie amiche mi hanno riferito che la ragazza che frequenta adesso è una poco di buono e litigano spesso e, ogni volta che mi loggo su Facebook, lo vedo online fino a tardi perché vuole vedere se sono connessa. Ma, dico io, se hai deciso di voltare pagina, che ci stai a fare fino a tardi su Facebook a controllarmi?”).

Il tutto condito dalla domanda conclusiva: “Lei che dice, dottore?”

La domanda è chiara: è una pretesa che non ammette sconferma.

La risposta che tutte vorrebbero sentirsi dare da uno psicologo, con tanto di legittimazione scientifica, è: “Signorina, Lei ha pienamente ragione, l’uomo in questione è uno stronzo. Ma non si è comportato male per cattiveria: probabilmente era semplicemente confuso o immaturo per tenere testa ad una donna con le sue qualità. Ma vedrà che quanto prima si ricrederà, tornerà sui suoi passi e le chiederà perdono in ginocchio, promettendole amore eterno. E Lei, siccome è straordinariamente buona, lo perdonerà e vivrete per sempre felici e contenti”.

La realtà è che in alcuni casi è difficile rendersi conto di quando una storia d’amore finisce o peggio ancora non è mai iniziata. Senza questa presa di coscienza non può avere avvio il processo di elaborazione del lutto, peraltro faticoso e dall’esito affatto scontato, necessario per tornare padroni di sé stessi e liberi di scegliere.

Si è proposto l’esempio in cui la “vittima” è la donna, ma in realtà è un discorso che vale per entrambi i sessi e per ogni tipo di relazione.
Ed è un discorso che deve partire dall’inizio, ossia dalle fasi di conoscenza e innamoramento, caratterizzate, come sappiamo, da una forte componente ideale.

La “visione romantica” che “l’amore vince su tutto” è una delle spiegazioni più pericolose (per la salute personale e di coppia) che ci ripetiamo di fronte alla paura di affrontare l’eventualità che le cose in realtà non stiano andando come vorremmo. E’ una giustificazione rispetto al nostro immobilismo. E’ una risposta fittizia ai nostri bisogni insoddisfatti.

Spesso non si interviene per paura di “rovinare la magia”, come se il formulare una richiesta o il manifestare un’esigenza, siano degli elementi stonati rispetto al perfetto quadro illusorio della relazione idealizzata.

Spesso non ci si esprime per la paura di perdere l’altro, e quando questo accade, non ci si capacita di come sia stato possibile, nonostante tutti i sacrifici autoimposti. (“Eppure ho fatto tutto quello che mi ha chiesto!”)

Più si negano gli aspetti disfunzionali di una relazione di coppia, più si rafforza il reiterarsi delle stesse dinamiche. Fino a quando, di fronte all’evento critico del rifiuto, si è ormai in grado di reagire con la sola ricerca di una risposta consolatoria. Consolazione che evidentemente, in questi termini, non potrà mai arrivare.

Stare bene insieme non può essere una romantica pretesa, ma un obiettivo che richiede impegno e lavoro, caratterizzato da più fasi e più fattori, e che non sempre è possibile raggiungere. Esiste infatti anche l’eventualità che due persone possano giungere alla serena consapevolezza di non essere compatibili, e, in quel caso, sarebbe comunque un successo per entrambi.

Il rapporto di coppia non è qualcosa di dato ma va costruito, e ogni conflitto, per definizione, ha una soluzione. Il problema, semmai è che il processo può essere faticoso e la soluzione può non piacere.

Risulta infatti molto più comodo e deresponsabilizzante ripetere a sé stessi: “Mah, alla fine io credo che se due persone si amano veramente, tutti questi problemi non dovrebbero nemmeno esserci!”
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Dottor Riccardo Cicchetti