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Come uscire da una relazione malata

Da quando vi frequentate sono ormai trascorsi mesi, anni.
La storia non è mai decollata. Quello che doveva essere l’inizio di una favola d’amore si è lentamente trasformato in una cruda e frustrante routine.

Le sue promesse, le sue dichiarazioni d’amore e di buoni sentimenti, i suoi discorsi vuoti sono tutto ciò che rimane oltre al sesso.
Di tanto in tanto un gesto romantico, solo per darti un contentino, per tenerti “buona”, “a cuccia” e “disponibile”.
Per dimostrare che lui, se vuole, sa essere il principe azzurro che hai sempre desiderato.

Ti invita a credere che siete fatti l’uno per l’altra, che tra di voi c’è un legame intimo e profondo che nessuno potrà mai rompere.
Tuttavia

Come aumentare la tua resilienza




Quando si verifica un terremoto, ci sono persone che restano pietrificate dalla paura, incapaci di muoversi e di realizzare cosa stia accadendo, mentre altre si attivano per mettersi in salvo e organizzare i primi soccorsi.

Immaginiamo di perdere il lavoro, subire un lutto, dover fronteggiare una malattia o un incidente grave. La maggior parte delle persone ha bisogno di tempo per metabolizzare questi eventi e, generalmente, senza l’aiuto di un professionista, non sempre riesce a ritrovare il proprio equilibrio psicologico. Altre persone, invece, mostrano una capacità apparentemente innata di adattarsi bene a tali situazioni.

Qual è il loro segreto?

"Qualcuno vuole farmi del male!" - La storia di Andrea


 

Andrea è un giovane studente universitario di poco più di vent’anni, che mi contatta a causa di una sopraggiunta totale inibizione nello studio, accompagnata da intense angosce persecutorie. Teme di poter subire aggressioni violente: verbali e non verbali.

Studente fuorisede, condivide l’appartamento con altri ragazzi. Soprattutto quando si ritrova solo in casa, teme che qualcuno possa entrare dalle finestre o dalla porta per aggredirlo.
A volte questo pensiero diventa talmente persecutorio che lo costringe a chiudersi in camera, rannicchiato sul letto con la coperta fin sopra la testa.

Perché un'immagine può fare tanta impressione?




F.: “Chiedo scusa per la richiesta d’aiuto un po’ inusuale . Ho visto nel pomeriggio un fotomontaggio (poi è stato dichiarato tale) nel quale c’era un enorme eruzione cutanea sul collo di una persona. In pratica era una “bufala”, trattandosi di un fiore di loto messo sulla pelle della persona. Ora io sono una persona abbastanza controllata, ma non riesco a togliermela dalla mente. Ho letto i commenti del post della foto e non dico la maggioranza, ma quasi tutti hanno avuto un turbamento emotivo. Come posso allontanare dalla mente quell’immagine (per favore)? Poi com’è possibile che solo una foto possa turbare la mente di tante persone? Grazie.

Ti fai molti selfie? La verità è che non ti piaci abbastanza!



 
 Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un notevole incremento dell’utilizzo dei social network su scala mondiale, soprattutto grazie alla diffusione degli smartphone, che consentono di essere sempre connessi, ovunque ci si trovi.
Trascorrere gran parte del tempo sui social è ormai una prassi consolidata per la maggior parte delle persone.

Tali strumenti di comunicazione permettono di arricchire il testo con delle immagini, che spesso diventano il messaggio stesso.
Le foto che maggiormente canalizzano l’attenzione degli utenti sono i cosiddetti “selfie”

Mi sono bloccata con gli esami! La prego, mi aiuti!




E’ questo il testo riportato nel modulo di contatto del mio sito web con cui L mi chiede un appuntamento presso lo studio di psicologia ad Avezzano.

L è una ragazza estremamente avvenente e dall’aspetto curato in ogni minimo dettaglio.
All’inizio del colloquio assume una postura fiera e sprezzante, di chi ostenta sicurezza e vuole dimostrare che non ha nulla da temere. Tuttavia l’aspetto appare rigido e innaturale

Sulla violenza nella coppia




Nel corso di conferenze, seminari, incontri a tema e colloqui in studio, le osservazioni più comuni che mi vengono mosse, quando affronto il tema della violenza nella coppia (meglio nota come “violenza domestica”) vertono principalmente su un unico aspetto:
“Perché la donna non si ribella?”
“Perché accetta tutto questo passivamente?”
“Perché non lo lascia?”
“Perché non si difende?”

Condannata per sempre. Il caso di M.





M. è una ragazza di 18 anni. Mi contatta perché ogni sera si ritrova seduta sul letto a piangere, con la sensazione di non riuscire a respirare e con fitte intercostali, accompagnate da un forte vissuto di inadeguatezza, veicolato da pensieri intrusivi del tipo: “Sono malata mentalmente”; “Non sarò mai normale”; “Non avrò mai una vita felice”; “Sono condannata per sempre ad avere una testa che non funziona”.
Inoltre sostiene di avere dei gravi problemi di coppia

Mi richiamerà?





“Dottore, ora che le ho raccontato la storia di questa mia relazione travagliata, mi dica, lui tornerà? Mi richiamerà?”

E' troppo giovane!




“Dottore, se avessi saputo che era così giovane, non sarei nemmeno venuta!” esordisce la signora all’ingresso del mio studio.

Eppure mi aveva contattato tramite il mio sito web, dove ci sono tutte le informazioni sulla mia persona con tanto di foto e curriculum vitae. Per non parlare del fatto che, per fissare l’appuntamento, ci eravamo sentiti per telefono.

Rispondo con una battuta e la faccio accomodare. Ma la musica non cambia: continua la sua campagna denigratoria nei miei confronti facendomi domande sulla mia preparazione e il mio lavoro e ridendo in faccia ad ogni mio tentativo di risposta.
Le faccio notare che non ci troviamo in un contesto giudicante e che lo scopo dell’incontro è quello di esplorare i motivi che l’hanno spinta a venire da me.
“Io non ho nessun problema, non sono mica matta, che crede! Sono venuta solo per curiosità, anche se dubito che lei possa aiutarmi… Quanto può saperne un ragazzo come lei dei veri problemi della vita?”
“Allora potrebbe provare a parlarmene per vedere insieme cosa riusciamo a fare” le propongo.
Ma lei continua a dire di non avere problemi , aggiungendo che forse non era stata una buona idea quella di venire da me.

Non voglio confermare questa sua rappresentazione, ma non intendo nemmeno continuare un braccio di ferro per un’ora; tanto più ho la sensazione che si possa alzare dalla sedia da un momento all’altro per raggiungere l’uscita.

Così decido di sfruttare l’unico spiraglio di confronto concessomi e, seppur consapevole degli scarsi elementi a supporto della mia ipotesi, le porgo una domanda diretta:
“Ha mai subito violenza da parte di qualcuno?”
La signora cambia di colpo espressione. Resta in silenzio fissandomi con lo sguardo incredulo. Poi inizia a piangere e non si ferma più.

La sua storia era caratterizzata da episodi violenti familiari agiti da figure maschili e da un matrimonio, ancora in corso, connotato da costanti umiliazioni subite da parte del marito, anche in presenza di figli, parenti e amici.
Nell’attaccare costantemente la mia figura, giudicandola “troppo giovane” e “non adatta”, la donna non faceva altro che comunicarmi indirettamente il suo disagio. Attraverso tale modalità relazionale veniva messo in atto il tentativo di svincolarsi dal ruolo di “incapace”, a cui era stata relegata con forza negli anni, proiettandolo su di me.

La non collusione con questa fantasia relazionale prevalente e l’offerta di uno spazio di ascolto e di confronto non giudicante, hanno permesso l’avvio di un processo condiviso di riconoscimento e superamento della dinamica di potere, che investiva le relazioni con le persone più significative del passato e del presente.

Il conseguente e crescente ampliamento di orizzonti, ha permesso l’individuazione e la sperimentazione di nuovi schemi relazionali a partire dalla riformulazione dei copioni familiari.

Col passare del tempo la donna ha scoperto risorse che non credeva nemmeno di avere, perché troppo a lungo inibite e atrofizzate entro schemi rigidi e giudicanti, che stroncavano sul nascere ogni tentativo di espressione di sé.

Non è importante in questa sede elencare le ricadute operative che i progressi ottenuti hanno avuto sulla qualità della sua vita. Basterà sottolineare l’importanza del recupero di una delle funzioni più importanti per l’essere umano: la possibilità di scegliere.

Così come è opportuno considerare che anche la più provocatoria delle richieste può veicolare una domanda di aiuto, che tuttavia non è sempre facile riconoscere ed accettare consapevolmente.

Dottor Riccardo Cicchetti

     

Donne e Autostima - Seminario Gratuito





Storicamente la donna è stata relegata in secondo piano nella società.

Da sempre ha dovuto confrontarsi con i condizionamenti e le pressioni di stereotipi che le imponevano un modello di vita predeterminato, e che sono ancora di estrema attualità.

Dall’educazione ricevuta nell’infanzia alle esperienze di vita adolescenziali ed adulte, la donna deve confrontarsi con un potere che tende a controllarla, a dominarla, e che ha volte finisce per schiacciarla, lasciandole ferite profonde.

L’incontro è rivolto a tutte quelle donne che hanno conosciuto il sapore amaro della svalutazione e del senso di impotenza, ma anche a coloro che vivono già in armonia con sé stesse e hanno semplicemente voglia di migliorarsi ancora.

L’unico requisito fondamentale per la partecipazione è credere di meritare di essere felici affermando il proprio diritto di esistere.

Verranno analizzate le principali dinamiche che conducono alla perdita di autostima nella donna e saranno forniti degli strumenti per sviluppare risorse e competenze personali.

Conduttore: Dott. Riccardo Cicchetti
Sede:  Studio Altea - via Vincenzo Cesati, 7 - Roma
Info e prenotazioni: 347 4896534