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7 strategie contro l'alessitimia




Give sorrow words: the grief that does not speak
whispers the o’erfraught heart and bids it to break


 “Date parole al dolore: il dolore che non parla
bisbiglia al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi”

(Machbeth, atto IV, scena III.)

 
In questi due versi Shakespeare è riuscito a condensare il concetto di alessitimia e le sue conseguenze sulla salute: è chiaramente presente l’importanza di “mettere in parole il dolore” e degli effetti che può avere su un cuore “sovraccarico” se questo non avviene.
Nel verbo “whispers” (bisbiglia)  c’è tutto l’aspetto silenzioso e non eclatante del fenomeno, che si rivela in modo drammatico all’esterno soltanto quando è troppo tardi.


Cos’è l’alessitimia?

L’alessitimia (o alexitimia) è la difficoltà a riconoscere e ad esprimere emozioni e sentimenti.
Nella sua etimologia di derivazione greca, “a-lessi-timia” significa letteralmente mancanza di parole per le emozioni.

Le emozioni hanno un’importanza fondamentale nella vita psichica di ognuno di noi. La loro corretta espressione è alla base della nostra salute.
Eppure esistono persone che presentano difficoltà in quella che dovrebbe essere una normale capacità dell’essere umano.


Da dove nasce?

Tra le cause principali, va considerata la relazione con i genitori durante l’infanzia, da cui dipende lo sviluppo psicoaffettivo di ogni individuo.

Diversi studi hanno dimostrato che i bambini separati dai genitori, anche solo per brevi periodi, tendono ad ammalarsi più facilmente e presentano difficoltà a regolare le proprie emozioni.

Oltre alla separazione, anche un attaccamento troppo forte, che si manifesta come un rapporto di tipo simbiotico soprattutto con la madre, può essere considerato un possibile antecedente  dell’alessitimia.

Nelle prime fasi di vita il rapporto con le figure di accudimento è fondamentale per sperimentare un’adeguata relazione affettiva e permettere al bambino di sviluppare le proprie abilità cognitive e la capacità di autoregolazione emotiva.

Comunicare adeguatamente emozioni e stati d’animo altro non è che l’esito di un corretto processo di crescita.
Ma cosa accade quando questo processo incontra degli ostacoli?


Come si riconosce?

I bambini alessitimici presentano le prime difficoltà soprattutto a scuola.
E’ possibile riconoscere una situazione di rischio quando siamo in presenza di tali segnali:

- espressione dell’emozione attraverso l’azione diretta;
- comunicazione verbale non connessa con lo stato d’animo;
- difficoltà di apprendimento sociale (difficoltà a rendersi conto del punto di vista dell’altro);
- incapacità di separarsi emotivamente dalla madre.

Nell’adulto le difficoltà possono assumere forme diverse. Vi propongo alcune situazioni tra le più diffuse:

Psicologo: “Come si sente in questo momento?”
Cliente: “Mi tremano le gambe”
Psicologo: “E cosa prova?”
Cliente “Non lo so. Che significa quando tremano le gambe?”
-
Psicologo: “Come si vede tra 10 anni?”
Cliente: “Non mi sono mai posto questa domanda.”
Psicologo: “E se le chiedessi di farlo adesso?”
Cliente: “Non riesco ad immaginare niente.”
-
Psicologo: “Come si è sentita quando le si è rotta l‘automobile?”
Cliente: “Ho proprio bisogno della macchina per accompagnare mia figlia a scuola”
-
Psicologo: “Com’è andata questa settimana? Ha discusso ancora con la sua compagna?”
Cliente: “Non molto bene, ho avuto i soliti giramenti di testa”


Negli esempi riportati appare chiaro come, oltre alla difficoltà di riconoscere ed esprimere le emozioni, si può verificare la tendenza a confonderle con le sensazioni corporee o a ricercare delle risposte che poco o niente hanno a che fare con il proprio “mondo interno”.
I processi di immaginazione sono deboli e la fantasia è scarsa; raramente ci si entusiasma o si mostra interesse per qualcosa.
Possono verificarsi esplosioni di collera o di pianto, senza tuttavia riconoscerne il motivo.
I sogni non vengono ricordati quasi mai e sono prevalentemente incubi.
La comunicazione è povera di sfumature, si tende a dare delle risposte normalizzanti (del tipo “va tutto bene”) e ogni comportamento sembra seguire una sorta di “manuale d’istruzioni”.
Nei casi più gravi, sono presenti difficoltà a riconoscere le emozioni dalle espressioni facciali.


Conseguenze

Una comunicazione poco efficace è l’aspetto più determinante nell’insorgenza di conflitti all’interno delle famiglie, nei luoghi di lavoro e nelle relazioni sociali.

La difficoltà nel mostrare interesse per qualcosa tende ad indurre nell’interlocutore una sensazione di noia e/o di rifiuto.

Se pensiamo all’ambito di coppia, l’assenza di un chiaro e libero scambio emotivo è il “sintomo” più evidente. La mancanza di condivisione si tramuta presto in assenza di progettualità.
L’alessitimico tenderà a farsi carico, in silenzio, di tutti i problemi esterni alla coppia e non riuscirà a percepire i conflitti interni, né a cogliere alcun tipo di segnale emotivo.

Psicologo: “Come va la vita di coppia?”
Signor A: “Bene. Ho sempre lavorato e a casa non faccio mai mancare nulla”
Psicologo: “Mi riferivo alla vita affettiva. Andate d’accordo? Litigate?”
Signor A: “Va tutto bene. Mia moglie mi legge come un libro aperto.”

Il partner, a sua volta, percepirà il silenzio e l’assenza di espressioni emotive come mancanza di interesse, e tenderà ad interpretare autonomamente i pensieri e le intenzioni alla base del comportamento dell’altro,  attribuendogli stati d’animo spesso lontani dalla realtà.

Signora B: “Mio marito non mostra mai interesse per quello che faccio. A volte sembra che faccia le cose per forza. Credo che, se gli importasse veramente di me, reagirebbe in modo diverso”

Sul piano sociale e lavorativo, una persona alessitimica andrà incontro a difficoltà di inserimento e non riuscirà a creare una rete di relazioni efficace basate sullo scambio paritario.
Raramente coglierà i segnali provenienti dal gruppo e svilupperà una tendenza alla passività e all’adempimento.


Cosa fare?

Generalmente chi è alessitimico non si rende conto di esserlo finché non sviluppa un disagio più grave, come uno stato depressivo, o finché qualcun altro (il più delle volte il partner) non lo invita a contattare uno psicologo.

Una volta presa coscienza della propria situazione, subentra la paura di non poter “guarire”.

In realtà l’alessitimia non è un fenomeno del tipo “tutto o nulla”, come se si trattasse di un’incapacità assoluta a provare e ad esprimere emozioni. Come abbiamo visto, si tratta piuttosto di un deficit in un normale processo di crescita e apprendimento che inizia fin da bambini.

La competenza emotiva, come tutte le abilità umane, può essere recuperata, allenata e migliorata. Vediamo insieme come.


7 strategie

La cosa migliore da fare è mantenere un saldo contatto con le proprie emozioni. A tal proposito, propongo 7 efficaci strategie:

1. Non vergognarsi di piangere o ridere.
Il riso e il pianto sono le forme più primitive e dirette di espressione emotiva; hanno inoltre il potere di allentare la tensione nervosa e producono un effetto analgesico sull’organismo.

2. Prestare attenzione a ciò che si ha intorno, viverlo a pieno e valorizzarlo.
La vita non è fatta solo di priorità: concedersi la possibilità di fermarsi a godere di un dettaglio non è affatto un “lusso che non possiamo permetterci”, soprattutto se lo condividiamo con qualcuno.

3. Esercitare la fantasia.“Se lo puoi sognare, lo puoi realizzare”. (W. Disney)
Bisogni, progetti e desideri sono la linfa vitale della nostra esistenza. Non bisogna mai smettere di immaginare il proprio futuro, di vedersi proiettati in avanti, di chiedersi cosa si vorrebbe realizzare nella vita.

4. Prestare attenzione ai propri sogni e cercare di ricordarli.
I sogni sono l’accesso diretto al nostro inconscio e una preziosa fonte di informazioni su noi stessi, tuttavia il loro ricordo tende a svanire molto presto appena dopo il risveglio.
Può essere una buona abitudine quella di scriverli mentre sono ancora “freschi”.

5. Confrontarsi con una o più persone fidate, soprattutto sulle proprie debolezze.
“L’uomo è un animale sociale”. (Aristotele)
Non si può pensare di tenere tutto dentro sé stessi senza correre il rischio di esplodere. L’amicizia, così come il rapporto di coppia, si basa anche sul sostegno reciproco e sulla capacità di lasciarsi andare e “contenersi” a vicenda.

6. Tenere un diario.
Scrivere è un ottimo esercizio riabilitativo, che stimola le funzioni cognitive e “costringe” a riorganizzare pensieri ed emozioni; inoltre, rileggendo le pagine del passato, ci si potrebbe sorprendere dei progressi fatti nel tempo.

7. Chiedere aiuto.
A fronte dei rischi a cui si può andare incontro, un colloquio con uno psicologo rappresenta la soluzione più efficace.
Ad oggi c’è ancora una forte resistenza a riconoscere di aver bisogno di aiuto e la figura dello psicologo è associata alla “malattia mentale”. In realtà si potrebbe risparmiare molto in termini di sofferenza anche con una semplice e corretta informazione.
Ognuno di noi possiede delle innate abilità personali, basta solo “sbloccarle” e imparare a gestirle.

Dottor Riccardo Cicchetti

Articolo pubblicato su L'AquilaOggi